Pagine e visioni

Alterna due sguardi, volti a costruire biblioteche e cineteche per parlare di infanzia

Visioni a cura di Elisa Rossoni

Questioni di Francesca Romana Grasso e Marina Petruzio

 

Questioni

Di arte e di illustrazione

di Francesca Romana Grasso e Marina Petruzio

In un contemporaneo dove le parole trovano nuove significazioni e allargano a concetti e definizioni complessi, potrebbe essere necessario ridefinire significati e ambiti di arte e illustrazione alla luce anche del nuovo artistaillustratore, figura bivalente e circolare tra l’essere artista e l’essere illustratore che fa del suo fare un laboratorio sperimentale di tecniche, stili, pensiero filosofico e pathos.

All’interno del complesso panorama delle arti figurative, ovvero della rappresentazione per immagini del mondo nel quale siamo immersi, non si può non considerare l’attenzione, sorta dall’inizio di questo nuovo secolo, da parte del pubblico adulto attorno all’oggetto libro a figure, comunemente albo illustrato, oggetto che pone in stretta relazione due codici differenti ovvero ciò che è scritto e ciò che è illustrato e il loro essere ospiti di una pagina che fa del suo essere “bianco” il terzo protagonista.

La presenza di questi libri, che avevano inizialmente uno scopo divulgativo per far scoprire il mondo all’infanzia e educarla, risale al lontano Seicento, ma è nei primi anni di questo secolo che vengono definiti come la prima galleria d’arte che lo sguardo bambino incontra.

“L’albo illustrato è la prima galleria d’arte che il bambino visita”, partendo da questa affermazione di Kvĕta Pacovská, artista autodidatta e illustratrice di svariati libri da 0 a 99 anni, il libro a figure diventa per alcuni uno spazio dove sperimentare tecniche e dove sovrapporre saperi tra matite colorate, arte digitale, pennello e intelligenza artificiale tanto da rischiare di non vedere selezionato il proprio lavoro nei concorsi di illustrazione.

Il concetto di arte nasce per conservare e dire dell’umanità e delle potenze a essa superiori, per la stretta coesistenza del qui e ora, e in un secondo momento per lasciare traccia di un paesaggio che ha sollecitato lo spirito di chi lo osservava attraversandolo, delle mode di una civiltà in continuo movimento, delle sue conquiste e dell’abito che ha adattato alle sue necessità, con soavità così come con ardore, con frenesia di gesto o ponderatezza di linee e colore per trasmettere non solo quel che di reale c’era ma ciò che lo animava e renderlo visibile e rivivibile nel tempo.

È nelle grotte, in epoche primitive, che ritroviamo attraverso le prime rudimentali pitture a dita la necessità dell’uomo di un congiungimento con l’altro attraverso un segno che poi diviene lascito, una traccia di sé, del suo passaggio, delle sue gesta ma anche banalmente della sua vita: le donne e gli uomini, il territorio, gli animali e la caccia.

Altro muove l’illustrazione e, senza dover per forza risalire alla notte dei tempi, consideriamo da una parte le incursioni artistiche nei libri a figure che si fanno vere e proprie palestre di sguardo: a chiunque capiti di sfogliare i libri illustrati negli anni tra il Sessanta e l’Ottanta del secolo scorso non sfuggirà la gran varietà di stili e tecniche usate: dall’acquarello al pennarello, dalla monotipia a svariati colori, allo stampino, a figure che hanno più a che fare con un certo tipo di grafica che con l’illustrazione, a virtuosismi da cover di vinile, alla ricchezza data dalla mano in un’epoca ancora lontana dal digitale proprio mentre l’arte e il design tornano a guardare all’artista come a un artigiano che fa della sua manualità il suo punto di forza. Stili, tecniche e autori cominciano a confondersi e a curiosare in giro per il mondo portando movimento a livello internazionale. Dall’altra parte guardiamo oggi al museo come a uno spazio urbano, un luogo di cui appropriarsi a circolazione libera, abitato come mai nella sua storia, in cui convivere tra passato, contemporaneità e futuro.

Uno spazio dove proliferano una miriade di attività che vedono coinvolte non solo le bambine e i bambini in un continuo e osmotico dialogo con l’arte, dove per dialogo si intende proprio l’entrare in contatto esperienziale con il quadro: sedervisi in fronte, individuarne la narrazione e letteralmente leggere quel che si ha davanti e da qui immaginare i profumi che pervadono la scena, indovinare le emozioni dei personaggi, il loro lavoro, cosa stavano facendo prima e nell’istante in cui sono stati immortalati, immaginarsi nei loro abiti, bisbigliare le loro parole, provare le loro fatiche... In questo la lezione di Bernard Friot (2015) sull’arte moderna come esempio di narrazione è esemplare. Una manifestazione così pedissequa della realtà avrebbe bisogno di molte parole per essere descritta da uno scrittore, come dice Gaston Bachelard nel suo saggio Il diritto di sognare (2008) ma che diventa eloquente nell’immediato rapporto cervello-occhio-mano e cuore di colui che affascinato dalla soavità di uno stagno fiorito estrae i suoi pennelli e immortala il momento per lasciare ai posteri il qui e ora e una grande emozione in chi guarda e guarderà.

Ciò che muove l’illustrazione si fa invece esplicito, volendo sempre considerare ciò che avviene nell’oggetto libro, nelle narrazioni per immagini ovvero in quei libri dove la figura non interagisce con la parola scritta, che non c’è, ma racconta da sola una storia che esplicita chiara e finita agli occhi di chi la guarda, suscitando spesso meraviglia per la dovizia di particolari, minuterie, personaggi, anfratti, luoghi, colori e colpi di scena.

Ma non è forse la stessa meraviglia che suscitano il racconto del simbolismo intrinseco all’arte o le narrazioni silenti a ago degli arazzi medievali?

Anche il supporto in passato poteva essere sinonimo di differente arte: l’artista rinascimentale o romantico nell’uso di tele da grandi a imponenti; l’illustratore di tutti i tempi più attento alla qualità della carta e alla sua varietà, al suo taccuino e a quel foglio a grandezza immaginabile sul quale eseguire il suo racconto.

Non sempre o sempre meno si può dire nell’odierno laddove il libro a figure è diventato il luogo di una sperimentazione artistica-illustrativa che coinvolge le tecniche di stampa, dove le pagine sono pagine solo quando arrivano tra le mani del lettore mentre al contrario possono nascere come grandi tele dipinte magari a olio; dove la carta resta il mero supporto per una stratificazione di ritagli e intagli, piccole sculture di carta, piume variegate, piccoli oggetti come in un’opera di Joseph Cornell; dove il collage raggiunge una tal raffinatezza di ritaglio che implica una tecnica esercitata e studiata a lungo. L’artista e l’illustratore contemporanei parlano dunque un linguaggio sempre più simile che si esprime attraverso sovrapposizioni di carte, tele, tessuti, materiali naturali o di recupero, colori, riveduti attraverso l’ausilio della fotografia, dell’intelligenza artificiale, di un digitale sempre più raffinato a favore di una narrazione ad alta comunicabilità.

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