Le parole dell'educazione
La rubrica di Bambini riprende alcune tra le parole più significative dell'educazione, ripercorrendone i significati e aprendo a nuove stimolanti riflessioni. Ecco le parole pubblicate
A Affetti, Agency, Anima, Arte, Atmosfera, Attenzione, Avventura • B Biodiversità • C Cambiamento, Canto, Città (Che Apprende), Collezione, Competenze, Complessità, Condivisione, Consunzione, Contesti, Corpo, Creatività, Crisi, Cultura, Cura • D Dedizione, Desiderio, Design, Disegno, Diseguaglianze, Documentazione • E Ecosistema, Emozioni, Esigenza, Espressività • F Famiglie, Filosofia • G Genere, Genitorialità, Gioco • H Habitus • I Identità, Imperfezione, Inclusione, Infanzia, Intercultura, Intimità • L Lavoro, Lettura, Ludicità • M Movimento • N Narrazione, Nascere, Natura, Negligenza • O Occhio, Osservazione • P Pace, Paesaggi, Parola, Partecipazione, Poetica, Progetto • Q Qualità • R Regole, Riflessività • S Sguardo, Situarsi, Soglia, Spazio • T Talento, Territorio, Transizioni
Questo mese leggi: Talento
di Anna Granata
Professoressa associata di Pedagogia, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Scivolosa e necessaria, la parola talento attraversa gli ambienti educativi così come il discorso comune e lo spazio mediatico, dando vita a interpretazioni polisemiche. Che cosa significa avere talento o coltivare un talento? C’è un’età deputata alla scoperta dei propri talenti e alla loro valorizzazione? Esistono contesti capaci più di altri di far emergere i diversi talenti? Il talento è un punto di partenza o un punto di arrivo di un percorso di apprendimento? Per provare a rispondere a queste domande mi affiderò ad alcuni esempi storici dalla particolare forza evocativa.
Prima di chiamarsi conservatori, si chiamavano “ospitali”: luoghi per contenere, conservare, curare la fascia più fragile della popolazione. È con questo specifico intento che a fine Settecento sorgono a Venezia e Napoli quelli che oggi conosciamo come i luoghi dell’eccellenza musicale: a storpi, orfani e mendicanti di ogni età, non viene dato solo un tetto sopra la testa ma il canto e la musica come strumenti di cura (Granata et al., 2013). Un modo per attrarre potenziali sostenitori economici necessari a sostentare l’istituzione stessa. Lo straordinario talento dei musicisti richiamava visitatori da ogni parte d’Europa che, con grande stupore, scoprivano che erano i soggetti più marginali della società, in prevalenza donne, a generare quelle straordinarie melodie, divenute il vanto della città. Il talento non è un punto di partenza ma un punto di arrivo.
Quando il padre Camillo lo designa come erede della fabbrica di macchine da scrivere da lui fondata a Ivrea a fine Ottocento, Adriano Olivetti veste i panni dell’operaio. Ha appena quattordici anni e sperimenta il lunedì nero dell’operaio in fabbrica dove azioni ripetute rendono il lavoro un’esperienza alienante, entro ambienti rumorosi e opprimenti. Alcuni anni dopo, prendendo le redini della fabbrica, ne rivoluziona radicalmente gli spazi e i tempi, introducendo ampie vetrate che permettono di contemplare la meraviglia delle Alpi e istituendo l’ora “per nutrire la mente” per leggere un libro di storia o di poesia, o assistere a una tavola rotonda. La curiosità diventa l’habitus dell’intera organizzazione dove l’operaio più giovane e meno istruito, violando le regole aziendali e portandosi a casa materiali di fabbrica, realizzerà il prototipo del primo calcolatore (Gino, 2019). La vera cifra del talento è libertà di iniziativa e un contesto capace di valorizzarla.
Esistono oggi luoghi dove riconoscere e valorizzare i talenti con questo ampio respiro? Non penso a quelle case dove le aspettative genitoriali orientano le scelte dei figli, escludendo percorsi e opportunità inattese. Non penso a quelle aule dove compiti preformati escludono ogni possibilità di espressione oltre la sterile logica dello standard. Non penso neanche a quei contesti agonistici dove la performance domina su tutte le altre dimensioni. Penso invece a quegli spazi “terzi” dedicati all’amore per il bello e al rifiuto dell’utile, dove l’apprendimento non ha confini di età, di genere o di estrazione sociale. Mentre scrivo ho in mente un’aula di scuola dedicata alla condivisione dei propri sogni e desideri, su iniziativa degli studenti di un istituto professionale; un museo divenuto spazio quotidiano per la vita di un quartiere all’interno di una grande città; una biblioteca di un piccolo comune dove leggere è soltanto una delle opzioni possibili; la sede di una banca di una città media, riconvertita in casa dei talenti, dove la dimensione del bello, della scoperta, della formazione continua e della cura, si intrecciano in maniera inedita. E il talento di ognuno diventa il bene più prezioso di un’intera comunità.
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