Le parole dell'educazione
La rubrica di Bambini riprende alcune tra le parole più significative dell'educazione, ripercorrendone i significati e aprendo a nuove stimolanti riflessioni. Ecco le parole pubblicate
A Affetti, Agency, Arte, Atmosfera, Avventura • C Cambiamento, Canto, Città (Che Apprende), Collezione, Competenze, Condivisione, Consunzione, Contesti, Corpo, Creatività, Crisi, Cura • D Dedizione, Desiderio, Disegno, Diseguaglianze, Documentazione • E Emozioni, Esigenza, Espressività • F Famiglie • G Gioco, Genere • H Habitus • I Identità, Imperfezione, Inclusione, Infanzia, Intercultura, Intimità • L Lavoro, Lettura, Ludicità • M Movimento • N Narrazione, Nascere, Natura, Negligenza • O Occhio, Osservazione • P Pace, Paesaggi, Parola, Partecipazione, Poetica, Progetto • Q Qualità • R Regole, Riflessività • S Sguardo, Situarsi, Soglia, Spazio • T Territorio, Transizioni
Questo mese leggi: Lavoro
di Luisa Zecca
Nel 1947 appare sulla scena letteraria pedagogica L’Education du travail di Célestin Freinet, ispiratore del Movimento di Cooperazione Educativa. Un romanzo pedagogico, il racconto di un’utopia, in cui un paysan-poète radica l’azione educativa in quella che chiama la cultura della verità, quella strettamente connessa alla vita e alla terra, contro la cultura formale, scolastica, dei sapienti così ermetici nel loro linguaggio che hanno sostituito “il pensiero stampato e gli insegnamenti formali alla riflessione personale”, critica. Freinet richiama all’aderenza al reale, alle verità essenziali, all’umanesimo ancestrale. L’utopia di Freinet tenta risposte alla domanda sempre così attuale: il progresso tecnico scientifico è progresso umano? Cosa significa civilizzazione? La scuola che ne nacque educava al lavoro tramite il lavoro in Atelier; oltre la lotta di classe e le scuole del proletariato da cui si distaccherà, Freinet mette al centro la lotta culturale. Freinet evoca l’armonia e l’equilibrio individuali al servizio di quelli sociali come superamento della divisione del lavoro tra attività fisica da una parte, la vita, il pensiero e l’affetto dall’altra. Il lavoro ha come dimensione preponderante quella etica, a quell’epoca un’etica socialista. Il lavoro è un bisogno naturale individuale e sociale al contempo. Nel lavoro si esprimono il potenziale creativo e vitale di ciascun individuo e il legame sociale per eccellenza tra adulti e infanzia. La visione di una società utopica verso cui tendere ha al centro il tema del lavoro, non come lavoro forzato, ma come forza innovatrice tipica del modo di essere dell’infanzia. La scuola quindi assume significato se è scuola di vita e risponde al desiderio dei bambini e al loro potente bisogno di conoscenza, seguendone ritmi e bisogni. Gli atelier hanno l’orizzonte politico di una democrazia di comunità di gestione collettiva del lavoro, o vita cooperativa. Da qui, e non solo (si pensi a Dewey o alle Scuole Nuove) si sviluppa la pedagogia dei laboratori, di cui le riflessioni di De Bartolomeis e Malaguzzi rappresentano i punti più elevati nella pedagogia italiana.
Lavoro e educazione se pensati fuori da una cornice che tratteggia una visione di società equa (Art. 1, l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro) ed eticamente responsabile (la dignità del lavoro) rischiano il baratro oggi attuale, come mostrano i dati allarmanti sul lavoro minorile nel mondo. Le sfrenatezze del liberismo estremo, di un pensiero tragicomico sulla sussidiarietà che scambia la valorizzazione delle potenzialità dei territori per una delega anarchica e un welfare caritatevole, fatto ancora troppo spesso di gare al ribasso, di sfruttamento del volontariato, di un mare magnum di contratti, alcuni dei quali ai margini delle possibilità di sopravvivenza, si contrappongono alla visione originaria di Freinet. La povertà educativa andrebbe correlata infatti alla povertà del sistema delle politiche per il lavoro sociale ed educativo. In cima alle nostre preoccupazioni c’è il lavoro delle educatrici e degli insegnanti che hanno conquistato il ruolo, quello di professionisti dell’educazione dell’infanzia con anni di ricerca, sperimentazioni, negoziazioni sindacali e associative. La nostra storia dei servizi e delle scuole di bambine e bambini ha segnato il passaggio da una cultura del maternage a una cultura del servizio, delle comunità, dove spiccavano parole quali Comitati di gestione, Consigli di scuola, Forum sociali inclusivi. A questo proposito ricordo quando nel Comune di Milano fu adeguato il salario, ben duecentomila lire in più agli educatori di nido per equiparazione a quello dei maestri di scuola dell’infanzia: fu l’esito di una battaglia principalmente culturale. Questa fu una risposta strutturale, da non dimenticare, forse utile anche per spiegare l’attuale mancanza di “vocazioni” educative. C’è un minimo culturale dettato dall’etica e dalla dignità del lavoro sotto il quale non si dovrebbe scendere.
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