Lavori in corso

A cura di Barbara Zoccatelli e Silvana Buono

 

Il fotocolloquio

Connessioni tra storie di crescita

di Chiara Traniello
Coordinatrice pedagogica, cooperativa La Coccinella, Trento

La sfida dell’alleanza con le famiglie
L’alleanza con le famiglie e la centralità della loro partecipazione alla vita dei servizi all’infanzia sono temi oggi assodati all’interno del discorso educativo. Eppure, non smettono di costituire una sfida per i servizi, che ricercano pratiche coerenti con le persone reali che quotidianamente si incontrano nei servizi. È necessario acquisire la capacità di gestire le relazioni con modalità che valorizzino le idee e i bisogni delle famiglie e co-costruendo connessioni tra culture familiari e cultura del servizio.

Alla ricerca di linguaggi comuni
A partire dalle ricche sollecitazioni che Manuela Cecotti ci ha offerto all’interno di un percorso formativo organizzato dalla Provincia autonoma di Trento1, la cooperativa “La Coccinella” sta approfondendo lo strumento del fotocolloquio, uno strumento che avvicina con delicatezza alla partecipazione e alla co-costruzione di sguardi multipli sul bambino: il linguaggio fotografico appare di più facile e immediato accesso, agevolando anche chi ha poca dimestichezza con l’italiano. L’uso delle fotografie non ha una funzione dichiarativa a supporto della veridicità di quanto osservato, ha invece un significato narrativo: “Il gioco dei rimandi che le foto mettono in moto fa sì che i momenti immortalati nelle immagini prendano voce ed assumano un significato nello spazio/tempo dedicato al colloquio” (Cecotti, 2016, p. 177).
Il fotocolloquio emoziona e coinvolge, facilita un clima rilassato e piacevole, consente a educatori e genitori di addentrarsi insieme nella conoscenza del bambino, facendo convergere gli sguardi, alimentando domande, argomentando le differenze. All’interno di un setting chiaro e progettato, il fotocolloquio può dunque aiutare a negoziare significati e a concordare prospettive, rendendo più efficace e visibile il prendere forma dell’alleanza educativa.

Progettare un fotocolloquio
Progettare un colloquio significa progettare uno spazio per pensare, insieme alla famiglia, alle azioni che possono essere messe in atto per valorizzare le risorse del bambino, potenziarne le capacità, supportarlo adeguatamente, con uno sguardo fiducioso e realistico. L’uso delle fotografie come strumento di mediazione incide sia sui contenuti dell’interazione sia sugli atteggiamenti degli educatori e dei genitori.
È importante che l’educatore abbia ben chiaro il senso di tutto il processo e gli obiettivi dell’incontro, poiché ha la responsabilità della sua conduzione. La comunicazione, infatti deve risultare chiara, cioè attenta e precisa rispetto a ciò che intende dire o chiedere; evitando di sovrapporre le informazioni o di fare contemporaneamente troppe domande; lasciando il tempo per la comprensione e per la chiarificazione. Va curata la coerenza, tenendo uniti i diversi fili che si vanno intrecciando nel confronto. La comunicazione deve promuovere uno sguardo progettuale, cioè spinto in avanti e rispettoso della complessità del bambino, considerando non tanto singoli aspetti ma le loro interconnessioni, diversi punti di vista o interpretazioni, evidenziando l’equilibrio tra criticità e punti di forza. Va formulata con attenzione la richiesta alla famiglia di portare al colloquio tre o quattro fotografie per descrivere e presentare il loro bambino. In un mondo sovraffollato di immagini, in cui spesso si fotografa di continuo e senza pensare, proporre di individuare tre o quattro scatti significativi e dargli una dimensione tangibile attraverso la stampa può essere spiazzante.
Per un fotocolloquio efficace la selezione delle foto è “un lavoro di riflessione, categorizzazione e ragionamento molto fertile di idee” (ibidem, p. 64). L’educatore, insieme al gruppo di lavoro, individua tre immagini che meglio lo aiutano a rendere ciò che ha osservato nel bambino e le ipotesi che ha tratteggiato: tanti sono gli elementi che concorrono a questo, poiché il bambino è ritratto sempre in un contesto (di tempo, spazio, esperienze e relazioni) che a sua volta può entrare nel confronto.
Stampare le fotografie apre alla possibilità di maneggiarle, di porle in sequenza e cambiare il loro ordine, avvicinarle, toccarle, confrontarle da vicino. Anche per gli adulti le mani guidano il pensiero.

Esperienze di fotocolloquio
Colloquio post ambientamento. Durante il primo mese di frequenza al nido, M. si dimostra una bambina molto “fisica” nella relazione con gli altri. Frequentemente, soprattutto nei momenti di transizione (tra attività o rispetto ai luoghi) o durante il gioco spontaneo, esprime la propria emotività attraverso spinte, graffi e morsi. L’educatrice racconta: “Per raccontare alla mamma di come la sua bambina vive la giornata al nido e di come si relaziona con gli altri bambini, ho scelto di mostrare tre foto che la rappresentano sempre insieme ad altri bambini. Così è emersa una bambina molto solare, che cerca tanto la relazione e il contatto fisico con il resto del gruppo, sia nei momenti di gioco sia nei momenti di cura (come per esempio il pasto); ho poi raccontato che in determinate occasioni M. fa fatica a gestire le proprie emozioni all’interno di queste relazioni. La presenza e la scelta delle foto ha sicuramente aiutato me a guardare M. con occhi diversi, facendo emergere altri aspetti del suo carattere che nella quotidianità tendevano a sfuggirmi, in quanto troppo concentrata a cercare di ‘gestire’ i numerosi momenti di conflitto. Inoltre, hanno permesso di aprire un dialogo con la mamma, che ha poi detto di ritrovarsi perfettamente nella descrizione fatta della sua bambina, raccontando il rapporto tra lei e il fratello”.
Colloquio finale. Un’educatrice progetta insieme al gruppo di lavoro il colloquio conclusivo dell’esperienza al nido con una coppia di genitori separati; la loro conflittualità abbastanza accesa ha portato alla scelta di proporre colloqui individuali. Il fotocolloquio sembra funzionale a mantenere l’attenzione sul bambino e a facilitare una restituzione equilibrata rispetto alle caratteristiche e alle competenze osservate. Si chiede quindi a entrambi i genitori di portare tre fotografie che descrivano, secondo loro, le competenze maturate dal loro bambino e gli aspetti che richiederanno particolare attenzione nel passaggio alla scuola dell’infanzia; l’educatrice propone in entrambi i colloqui le stesse tre fotografie.
L’educatrice racconta: “Nei precedenti scambi con questi genitori, ho sempre dovuto gestire con particolare attenzione le ‘frecciate’ di un genitore verso l’altro, che di fatto mettevano al centro il ‘di chi fosse la colpa’ di alcuni comportamenti disfunzionali del bambino piuttosto che i bisogni che tali comportamenti esprimevano. Il fotocolloquio ha aiutato a mantenere il dialogo sul bambino, ha coinvolto entrambi i genitori anche se solo uno ha portato i propri scatti. Le fotografie mi hanno aiutata a proporre a ciascuno una stessa descrizione del bambino, e mi è stato più facile cucire connessioni tra il mio racconto e il loro”.

1 Progettare: l’organizzazione dei gruppi di bambini, aa.ee. 2020-2021 e 2021-2022.

  

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