In-comprensioni
Propone brevi approfondimenti tematici dedicati esplicitamente alle famiglie, da offrire come riflessioni o, ancor meglio, da utilizzare per aprire occasioni di confronto
di Daniela Mainetti, Elisabetta Marazzi e Alessia Todeschini
Un anno perso
Settembre - Ha gli occhi rossastri, di chi fuma molto, incorniciati da una montatura spessa e nera. Il tono dolce. Parla a bassa voce, senza titubanze, mi dà quasi l’impressione che si sia già preparata il discorso. O forse lo ha solo ripassato dentro di sé molte volte.
Mi succede ogni anno. Quando è il momento del colloquio di pre-ambientamento mi sale dallo stomaco come un friccicore strano, simile a quello di quando si aspetta qualcuno alla stazione e lo si trova un po’ diverso da come lo si è lasciato. Un po’ più abbronzato. Un po’ più magro o un po’ più grasso. Con addosso un paio di scarpe che non si ricordavano. Ecco, questo è il momento in cui le persone che ho sentito telefonicamente per fissare il colloquio di pre-ambientamento si palesano. E, immancabilmente, sono diverse da come la loro voce me le ha fatte prefigurare: un po’ più magre, un po’ più grasse, con dei capelli ricci che non prevedevo. Che bel lavoro che faccio, penso ogni volta. Pronti, via: ecco un’altra vita a cui affacciarsi, un’altra persona da conoscere. Anzi, due. Tre. A volte, se ci sono anche i fratelli e i nonni, quattro e più. Di Samantha mi incuriosisce il suo tailleur fresco di tintoria, un orologio importante, il suo raccontare in sequenza le cose in maniera compita, senza mai tralasciare troppa emozione. “Mauro ha due mamme, io sono quella biologica, la mia compagna si chiama Serena. Lavoriamo molto, è il nostro primo figlio e nessuna esperienza, speriamo che qui al nido trovi un ambiente stimolante che gli permetta di fare delle esperienze che noi non sappiamo bene come procurargli. Non siamo molto esperte di giochi e bambini”, mi dice.
“E chi lo è?”, abbozzo, ma mi rendo conto che ho detto una frase infelice, perché certo, noi qui al nido, lo siamo. Quindi correggo: “Quale genitore, intendo, lo è? Nessuno ci ha fornito il libretto di istruzioni quando abbiamo partorito”. La nostra conversazione si sposta su dettagli pratici: cosa Mauro ama mangiare, qual è il suo rito prima di addormentarsi. Samantha mi stringe forte la mano. “Mi raccomando”, mi dice prima di accomiatarsi. “Certo”, dico solo, cullandomi nell’amarezza di non essere stata forse abbastanza rassicurante, abbastanza convincente, abbastanza sicura. Abbastanza. Tocca al mio secondo colloquio. È un papà, con le Birkenstock, il sorriso allegro. Non ci ho preso neanche stavolta.
Gennaio - Guardo Mauro. Finalmente ha sostituito la sua attrazione per la porta della sezione e tutto quello che succede al di fuori, con altri interessi. Per assecondarlo, durante e dopo l’ambientamento, gli avevo fatto fare lunghi giri a esplorare il resto del servizio: “Guarda, qui prepara la pappa Giulia, la nostra cuoca. Questo invece è il laboratorio delle meraviglie dove siamo stati l’altro giorno, ricordi?” Le mie colleghe mi hanno fatto notare che forse il fatto di portarlo fuori dalla sezione spesso non è stata una strategia vincente, perché per parecchio tempo ha richiesto di uscire a esplorare, ma a livello gestionale, ovviamente non era sempre possibile, e ciò ha creato delle difficoltà. Comunque. Ora sta giocando con le macchinine che abbiamo in saletta. Le fa andare avanti e indietro sul davanzale. Fa spesso questo gioco, gli piacciono molto macchine e mezzi di trasporto. È più piccolo degli altri bambini del nostro gruppo e non cerca molto l’interazione con loro, non è interessato ai giochi di chi è più grande. È il momento del ricongiungimento. Samantha arriva a prenderlo. È molto dimagrita e ha spesse occhiaie di chi non ha dormito. “Tutto bene?” le chiedo. “No, per niente. Dobbiamo parlare. Domani alle 17?”, mi chiede nel suo modo pragmatico. “Sarei di primo ma va beh”, penso. “Certo, benissimo domani alle 17”, dico.
Il giorno dopo ci accomodiamo in ufficio. Non faccio in tempo a offrirle un caffè, “Penso sia autistico”, mi dice senza preamboli.
“In che senso?”
“Mauro. Gioca solo a macchinine. Non fa nient’altro.”
“Beh, sì, è il suo gioco preferito, l’ho notato anche io. Gli piace anche indicare quelle parcheggiate nel parcheggio del nido. Gli raccontiamo di che colore sono, lui ascolta interessato.”
Fa una smorfia. Capisco, che nuovamente, non sono stata convincente. Continuo. “Ecco, io sono un’educatrice, non un medico, ma nella mia vita professionale mi è capitato di conoscere e accompagnare bambini con spettro autistico e Mauro, per come si relaziona con me e le altre educatrici, e per quello che fa, non mi sembra proprio.”
“Non parla”, dice Samantha, secca. “Alla sua età dovrebbe dire 50 parole.”
“Beh, sicuramente ne conosce 50. Poi ancora non le dice ma…”
“Non è normale.”
“Ma ognuno ha i suoi tempi.”
Mi racconta che sono notti che non dorme, che il tarlo che suo figlio abbia qualche problema si è impossessato di lei.
“Serena cosa pensa?” oso.
“Minimizza, e la cosa mi fa arrabbiare ancora di più, lasciamo stare. Sono riuscita a ottenere una visita in neuropsichiatria per un accertamento.”
“Se ti fa stare più tranquilla fai bene, le dico”. Penso al povero Mauro, ai suoi ricci matti, alla sua voglia di correre e il pensiero che vada in un ospedale, sia pur solo per una visita di screening, mi dispiace perché, oggettivamente, io, questo bambino, lo vedo sanissimo. “A me sembra vada tutto bene”, le dico ancora, ma non voglio irritarla.
“Voglio un parere scientifico.”
“Certo, certo”, rispondo.
Aprile - Mauro in questi giorni, quando entra al nido alle 11, è molto stanco. Sono le mattine che sta passando in neuropsichiatria o a far psicomotricità a stancarlo. La mamma non è stata molto chiara sulle attività che gli fanno fare, e per ora nemmeno sugli esiti dello screening. Noi chiediamo, ma non troppo. Però, dopo la nanna del pomeriggio, è un altro bambino. Riposato, allegro, interessato a tutto. Io e le mie colleghe abbiamo deciso di proporgli qualche attività più strutturata nel pomeriggio, per fargli fare esperienze diversificate e soprattutto rassicurare Samantha sul fatto che sta crescendo bene. È vero, ancora non parla, ma ha 20 mesi, borbotta e si fa capire. In un corso di formazione abbiamo ragionato tanto su come la documentazione possa essere uno strumento straordinario per raccontare gli apprendimenti dei bambini e delle bambine e ci stiamo molto impegnando su questo fronte. Inutile dire che nei confronti di Mauro ci stiamo impegnando ancora di più, abbiamo preso a cuore questa situazione.
Giugno - Di nuovo tempo di colloqui. È un momento particolarmente emozionante per noi e per le famiglie che frequentano il nostro nido. Ai genitori dei bambini uscenti leggiamo il racconto del percorso del loro bambino o della loro bambina al nido e di solito finisce in un fiume di lacrime e di ringraziamenti. È uno dei pochi momenti in cui sento che il nostro lavoro viene davvero riconosciuto. Agli altri genitori raccontiamo l’anno passato, tratteggiandolo con gli episodi più significativi trascorsi, con le evoluzioni che abbiamo notato. Per Samantha abbiamo preparato un piccolo book fotografico di Mauro corredato di didascalie che raccontano cosa sta facendo, cosa sta imparando. Abbiamo insistito che al colloquio venisse anche Serena, ma deve essere molto impegnata perché l’abbiamo vista molto poco quest’anno, e anche questa volta Samantha si presenta da sola.
“Allora, come sta andando?” esordisco, mettendoci più allegria del dovuto.
“Ho interrotto il percorso in neuropsichiatria, mi sembra inutile”, mi dice. “Ma ho preso una decisione.”
“Dimmi”, le dico sorridente.
“Di cambiargli nido. Devo dirtelo: non mi sono trovata per niente bene. Evidentemente il fatto che Mauro ancora parli così poco è dovuto al fatto che non lo avete abbastanza stimolato.”
“Non credo, a noi sinceramente sembra di aver fatto un buon lavoro, mi spiace per questo tuo sentire e questa tua decisione” cerco di difendermi, incredula.
“Forse è una decisione che avrei dovuto prendere prima. È stato un anno perso.”
Mi brucia il profilo delle orecchie, come mi succedeva da piccola quando mi arrabbiavo. Maledico tra me e me la mia collega, che ha avuto un’urgenza e mi ha lasciato da sola a fare il colloquio. Un anno perso, penso.
“Rispetto la tua decisione ma davvero mi spiace”, dico. “Ti abbiamo preparato questo”, le porgo il libretto con in copertina Mauro che sorride intento a suonare una piccola batteria. Samantha lo sfoglia, ogni tanto, impercettibilmente, sorride.
“Un anno perso”, penso di nuovo.
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