L'editoriale




«Guardate, vedete quella poesia?»
disse improvvisamente, indicando con il dito.
«Dove?» Jane e Diana guardarono, come se si aspettassero
di vedere rime runiche sugli alberi di betulla.

«Lì... giù nel torrente... quel vecchio tronco verde e muscoso
con l’acqua che vi scorre sopra in quelle dolci increspature
che sembrano come se fossero state pettinate,
e quel singolo raggio di sole che vi cade obliquamente,
fin giù in fondo alla pozza.
Oh, è la poesia più bella che abbia mai visto».

L.M. Montgomery (1909), Anne di Avonlea, Lettere Animate, 2019

Non sempre il modo in cui ragionano e ricercano bambine e bambini è lo stesso che ha in mente la scuola. La scuola che abitiamo, infatti, ha spesso la tendenza a separare temi e questioni nell’idea che in questo modo l’apprendimento possa essere più efficace perché focalizzato e specializzato. Bambine e bambini, però, guardano le cose e il mondo ponendosi domande per niente semplificate e anzi molto complesse: per questo talvolta le categorie disciplinari – o i campi d’esperienza, se vogliamo – che la scuola ha immaginato per loro sembrano servire più alla prima che ai secondi, a cui invece stanno strette.

Proprio come Anne, infatti, i bambini sanno vedere nelle cose ogni loro più eterogeneo aspetto, mischiando con disinvoltura scienza e poesia, lingua e matematica, arte e geometria, storia e geografia, musica e informatica, senza che questo li distragga da ricerche anche molto approfondite. Gli adulti, invece, un po’ per formazione e un po’ perché crescendo si ha bisogno di incasellare le molte cose che si apprendono per non esserne travolti, tendono a utilizzare sistemi che guardano separatamente alle questioni, mettendole in un ordine che può essere, di volta in volta, cronologico, di importanza o di complessità. In questa strutturazione, però, si cela anche una tendenza al controllo, perché separando si ha l’illusione di monitorare, e forse anche di valutare, meglio quello che si sta proponendo e quello che sembra si stia imparando.

Eppure, la scuola dovrebbe essere un posto dove la struttura ha il compito non tanto di controllare, quanto di favorire l’esperienza di ricerca complessa che i bambini e le bambine sono in grado di fare. Certo, questo richiede agli adulti un esercizio di attenzione molto più impegnativo per riconoscere le piste di ricerca che stanno spontaneamente mettendo in atto, riconoscendovi gli apprendimenti in divenire nei loro intrecci più articolati e talvolta spericolati, ma quel che ne può derivare è sicuramente più interessante sia per i più piccoli sia per i più grandi. Perché non si tratta di vedere la poesia ovunque, ma di vedere il mondo in ogni cosa, riconoscendone le molte connessioni.

Monica Guerra

 

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