Diritti di bambine e bambini

a cura di Elisabetta Biffi e Chiara Carla Montà

 

L’adozione aperta nella sentenza della Corte Costituzionale

Domande educative aperte

di  Angela Muschitiello

Un compleanno importante

È da poco decorso il quarantesimo compleanno della legge 4 maggio 1983, n. 184 “Disciplina dell’adozione dell’affidamento dei minori” successivamente rubricata “Diritto del minore a una famiglia” dalla successiva legge di modifica n. 149/2001 per meglio evidenziare la ratio di “progetto sociale e legale di protezione delle persone di età minore che non possono crescere nella loro famiglia di origine”, alla base della previsione legislativa.

Una legge che ha costituito (e costituisce ancora oggi) un motore di cambiamento sociale e culturale valido, vivo e vitale perché – come afferma L’Autorità garante nazionale per l’infanzia e l’Adolescenza Garlatti – “frutto di un pensiero che mette al centro i bisogni dei bambini e delle bambine” (Garlatti, 2023, p. 15). Più nello specifico, la legge in parola si fonda sul riconoscimento dell’importanza che, ai fini dello sviluppo armonioso e completo della personalità dei minori, sia essenziale crescere in un ambiente caratterizzato da uno stile relazionale familiare accudente ed esclusivo.

Tale diritto a una famiglia nel pensiero della legge si articola in due diverse dimensioni: la necessità di sostegno alla genitorialità vulnerabile cui deve essere riconosciuto spazio e tempo per (ri)costruire un ambiente idoneo alla crescita dei/delle bambini/e; la garanzia che a questi/e ultimi/e sia comunque garantito il diritto a una famiglia quando quella di origine sia dichiarata definitivamente inadeguata. Di qui la disciplina degli istituti dell’affidamento eterofamiliare (artt. 2, 4, 5) e dell’adozione legittimante (artt. 6, 8, 27) specificata nella legge L. 184/83 come modificata dalla L. 149/01.

L’affido prevede l’accoglienza temporanea del/della figlio/a in una famiglia affidataria per consentire a quella di origine di superare alcune carenze educative o forme di grave disagio con la previsione del mantenimento delle relazioni di filiazione in vista di un futuro rientro del/la minore. L’adozione legittimante, invece, basata sul diverso presupposto della inidoneità completa e definitiva dell’ambiente di nascita, prevede l’attribuzione al/la bambino/a dello status di figlio legittimo della coppia adottiva a tutti gli effetti di legge con interruzione di ogni rapporto sia giuridico sia di fatto con la famiglia d’origine compresa la sostituzione del cognome. L’aggettivo piena da sempre utilizzato per definire tale istituto sta proprio a indicare la totale appartenenza del/la bambino/a alla nuova famiglia senza che sia lasciato alcuno spazio fisico e mentale a quella di origine.

L’adozione piena o open adoption: prospettive di tutela minorile

A quarant’anni dalla sua approvazione la legge 184/83 (con le successive modifiche legislative) rappresenta nel complesso panorama della normativa a tutela della famiglia uno strumento ancora moderno. A ben vedere, infatti, grazie all’attività interpretativa della giurisprudenza (che ha saputo adeguarsi alle spinte trasformative della Convenzione Onu e alle istanze sociali e culturali nazionali generate dalla necessità di aggiustare alcune prassi non sempre capaci di tutelare il best interest dei/delle minori come nel caso Bibbiano o abuso degli affidi sine die), la disciplina dell’affido e dell’adozione ha saputo estendere e adattare garanzie e tutele anche a casi apparentemente privi di specifica regolamentazione o poco definiti garantendo sempre un riferimento chiaro per tutte le istituzioni minorili.

Un presupposto che è stato da poco messo in discussione dalla recentissima sentenza 28 sett. 2023 n. 183 della Corte Costituzionale che, in linea con precedenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’uomo2, ha avallato l’interpretazione maggioritaria secondo cui, in alcuni casi specifici, i tribunali per i minorenni possono, contestualmente alla sentenza di adozione legittimante, prevedere che l’adottato mantenga rapporti di fatto (non giuridici) con la famiglia di origine (anche se decaduta dalla responsabilità genitoriale). Si tratta della cosiddetta open adoption o adozione piena aperta che fondando la sua previsione sull’istituto di creazione giurisprudenziale “dell’adozione mite”3, intende aggiungere una famiglia al minore senza sostituirla ove sussistano rapporti affettivi significativi che sarebbe contrario all’interesse del minore spezzare. Tale sentenza fa riferimento ai casi cosiddetti di “abbandono incolpevole” in cui la situazione duratura di incapacità non dipenda da comportamenti volontari messi in atto dai genitori di origine, bensì da carenze e fragilità di natura diversa legate, ad esempio, a problemi economici o di salute (Vecchione, 2022). In questi casi, mantenere vivo il legame affettivo, secondo la Corte Costituzionale, garantirebbe maggior tutela per l’adottato/a, offrendogli la possibilità di mantenere integra nel tempo la propria identità emotiva e affettiva oltre che relazionale, senza essere costretto a dividersi tra un prima e dopo nella narrazione della propria storia (Muschitiello, 2016).

“L’identità è un processo narrativo […] perché comprendere se stesso equivale a essere capace di raccontare su se stesso delle storie intellegibili e accettabili in una trama cognitivo emotiva coerente che consenta di dare significato ad ogni esperienza vissuta in una dimensione trasformativa dentro cui trovare lo stimolo per desiderare di realizzare i propri sogni” (Ricœur, 1988, p. 8).

Nuove domande educative “aperte”

L’innegabile valore educativo di tale pronuncia della Corte Costituzionale pone anche rilevanti quesiti pedagogici sollecitati dalla complessità ed eterogeneità delle situazioni che gli operatori delle istituzioni minorili, e in particolare gli educatori chiamati ad accompagnare bambini/e e famiglie, si troveranno ad affrontare per rendere le relazioni adottive “aperte”, funzionali allo sviluppo di identità più complete e non più confuse.

In particolare: quale spazio emotivo, affettivo e relazionale riservare nel/la bambino/a al rapporto con la famiglia di origine? Come promuovere reciprocità di riconoscimento tra quest’ultima e quella adottiva chiamando entrambe a riconoscersi e a rispettarsi (senza oltrepassare) nel comune ma differente ruolo di protezione e promozione emotiva e affettiva? Come garantire la tenuta “dell’apertura” in questa triade relazionale? La vera partita dell’open adoption si gioca infatti nel tempo perché non è sufficiente porre in essere supporti personalizzati ma è anche indispensabile considerare che l’abito cucito ad hoc su ogni singola storia andrà sistemato nel corso del tempo in sintonia con la crescita e l’evolvere dei bisogni del/la bambino/a e sostenendo le famiglie a trovare rispetto a essi un adattamento più funzionale.

Quale formazione progettare per gli educatori che affronteranno tali sfide minorili?

1 N. 183 del 28 settembre 2023.

2 Sentenza CEDU del 13 gennaio 2009 – Ricorso n. 33932/06.

3 Sperimentato negli anni 2000 presso il Tribunale per i Minorenni di Bari come possibile risposta alle situazioni di abbandono semipermanente. Pronuncia del Presidente del TM Bari Occhiogrosso del 07/05/2008.



per approfondire

Garlatti C., Responsabilità e diritti nel presente delle famiglie: affidamento e adozione a quarant’anni dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, in “Minorigiustizia”, n. 2 2023, pp. 15-21.

Muschitiello A., La pedagogia nel diritto minorile. Promuovere il cambiamento a partire dalla famiglia, in “Rivista Italiana di Educazione Familiare”, vol. 11, n. 2, 2016, pp. 161-170.

Ricœur P., L’identité narrative, in “Esprit”, n. 2, 1988, pp. 295-304.

Vecchione G., L’attribuzione del cognome nei bambini adottati, in “Minori e giustizia”, n. 3, 2022, pp. 156-172.

  

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