Le parole dell'educazione
La rubrica di Bambini riprende alcune tra le parole più significative dell'educazione, ripercorrendone i significati e aprendo a nuove stimolanti riflessioni
Intimità
Elisabetta Biffi
Professoressa associata di Pedagogia generale e sociale, Dipartimento di Scienze umane per la formazione, Università di Milano-Bicocca
Che l’intimità abbia a che fare con l’infanzia è qualcosa di intuibile anche senza grandi spiegazioni. Basta recuperare le proprie memorie d’infanzia, i ricordi di momenti di accoglienza fra braccia sicure: metafore del nido, dell’abbraccio materno.
L’intimità, nelle sue diverse forme e manifestazioni, resta sempre relazionale e privilegiata (Jullien, 2014). È intimo ciò che non è accessibile a tutti, qualcosa a cui si accede per reciproca disponibilità e privilegio.
La relazione educativa, come ben noto, si va connotando e costruendo per essere una dimensione di vicinanza, fiducia e, in certi limiti, confidenza. Lo è a maggior ragione quando si entra nei servizi all’infanzia, dove l’educare passa attraverso i gesti sui corpi: si educa nel mentre che si tocca, abbraccia, pulisce, calma, nutre il corpo dell’altro.
Al tempo stesso, tale traduzione in intimità non è affatto scontata, piuttosto essa è l’esito intenzionale di un pensiero educativo che è professionale. Per il bambino quell’intimità rimanda alla e differisce dalla intimità delle relazioni primarie, dove egli stesso ha imparato a riconoscersi nello sguardo della madre che lo riconosce. Man mano, l’esperienza attraversata renderà quel bambino capace di riconoscere sé e l’altro, di abitare i confini fra sé e l’altro posizionandosi all’interno di quell’intimità.
L’esperienza dell’intimità dentro la relazione educativa è, allora, esperienza ulteriore di riconoscimento del confine fra sé e l’altro e della “inviolabilità” di quel confine.
Non si tratta di imporre fantasmi censori o eccessivi pudori, ma di educare il bambino a comprendere che il suo corpo è una terra che merita rispetto e serietà. Gli esempi sono diffusi quanto distrattamente invisibili. Quale preziosa esperienza educativa offre l’adulto che chiede “posso abbracciarti?” prima di sollevare il bambino dal proprio lettino. Oppure l’adulto che si sofferma in un “vuoi che ti aiuti?” attendendo, paziente, che la bambina provi a pulirsi da sola, nella routine del bagno, prima di irrompere frettoloso sul corpo dell’altra. È, anche questa, esperienza della base sicura di cui parlavano Mary D.S. Ainsworth e John Bowlby (Bowlby, 1988, p. 10).
Si costruisce, così, la possibilità per il bambino di imparare a fidarsi di ciò che sente, dei segnali del corpo e della loro legittimità.
Di fronte all’insistente richiesta del bambino di recarsi in bagno, la risposta dell’adulto: “Aspetta, adesso non è il momento”, pur mossa dalle migliori intenzioni, sottende che vi sia un momento adeguato per ascoltare il proprio corpo. In parte il corpo si disciplina. In parte, dietro la richiesta del bambino si può anche celare la sua voglia di uscire dall’aula. Eppure, il fatto che non sia un bisogno fisiologico a muoverlo ma l’irrequietezza, o la noia, non rendono quel segnale del corpo meno importante. Allora, forse, anche quella è occasione per imparare a leggere il proprio bisogno, quando l’adulto invita: aiutami a capire il tuo bisogno, se devi fare pipì, se hai bisogno di alzarti dal banco, se sei affaticato, se ti stai annoiando.
E infine: nel modo con il quale educatore e bambino abiteranno l’intimità della loro relazione si radica una fondamentale forma di prevenzione alla violenza sull’infanzia (Biffi, 2020), vale a dire l’educazione alla consapevolezza, che i bambini si costruiscono sin dalla nascita, al rispetto che deve sempre essere loro dovuto. Un bambino che cresce sapendo che un adulto non può tutto, nemmeno per il suo bene, che l’intimità si conquista e si costruisce, non è dovuta, che il proprio corpo segnala e risponde al vissuto di illegittimità di un gesto irrispettoso, è un bambino che saprà sentire e, poi, saprà dire ciò che sente.
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