L'editoriale di marzo
Quando si fa un viaggio, munirsi di una mappa è spesso una delle prime azioni che si compiono. I modi di utilizzarla, poi, sono molti e differenti. Ci sono quelli che ne fanno la base per ogni decisione di visita, quelli che la consultano solo per avere un minimo orientamento, quelli che la utilizzano per decidere gli spostamenti, quelli che la dimenticano in borsa o nello zaino e se ne ricordano solo al ritorno, lasciandosi invece guidare da altri sistemi e sguardi. E anche quelli che la trasformano in un gioco, in un’esplorazione, in una ricerca, interrogandosi in modo laterale e curioso a ogni passo, così da trasformare il proprio viaggio in una scoperta originale, capace di percorrere in modo inedito strade già battute infinite volte in altri modi.
Non tutti quelli che partono per un viaggio, però, hanno la possibilità di munirsi di una mappa, fisica o virtuale che sia. Non tutti quelli che partono per un viaggio, anche se magari animati nel profondo da medesimi desideri di scoperta, possono neppure permettersi di scegliere il proprio itinerario, dovendosi affidare ad altri che nella migliore delle ipotesi li guideranno e nella peggiore li trasporteranno, togliendo loro ogni possibilità di scelta, domanda, intenzione. A volte, quelli che partono per un viaggio non possono ascoltare nemmeno il proprio desiderio di andare o di restare, ma devono scegliere tra qualcosa che conoscono e qualcosa che possono solo immaginare, affidando a quelle rappresentazioni la speranza di un approdo buono e, da lì, di una vita migliore, per se stessi e per quelli che amano.
Sono partenze senza mappa, in cui la stessa destinazione è incerta e il viaggio talvolta pericoloso. Certe volte mortalmente. Eppure, sono viaggi inevitabili, nonostante tutte le paure e i rischi.
Chi li compie dovrebbe essere guardato con rispetto, un enorme rispetto, per il coraggio che manifesta, un coraggio disperato, e per il sogno che coltiva, forse ugualmente disperato. Se non ci si riesce, andrebbe almeno guardato in silenzio, sospendendo ogni giudizio e aprendo la strada a un approdo dignitoso, che anche quando è più facile resta infinitamente faticoso. Per le valigie leggere, se ci sono, per i ricordi lasciati, per i timori sul futuro che quei viaggi portano con sé.
C’è uno straordinario bisogno di un’educazione capace di curare sguardi di rispetto, o almeno silenzi non giudicanti, per tutti coloro che hanno quel coraggio e quei sogni. Per non piangere poi non solo le morti altrui, ma anche la nostra perduta umanità.
Monica Guerra