Documentazione
Approfondisce aspetti diversi di una strategia educativa fondamentale per un’educazione che voglia davvero dipanarsi in progress, in ascolto di bambine e bambini
di Letizia Luini e Ilaria Mussini
Photovoice come strategia documentativa per bambine e bambini
Alcune suggestioni pratico-operative
La metodologia photovoice (Wang, 1999; Latz e Mulvihille, 2017) può essere intesa come una forma di ricerca e di documentazione partecipativa potenzialmente capace di permettere a ogni soggetto di rappresentare contesti ed esperienze attraverso la produzione autonoma di fotografie. In tal senso bambine e bambini diventano sia partecipanti che co-ricercatori del processo documentativo: questo consente a ognuno di esprimere il proprio punto di vista attraverso le immagini e di costruire narrazioni più o meno articolate, che poggiano su elementi che nascono dal proprio sguardo personale sulla realtà.
Ma come implementare questo strumento nel contesto scolastico quotidiano? Come sfruttare le sue potenzialità nella pratica documentativa dei servizi per l’infanzia? A quali aspetti occorre prestare particolare attenzione affinché photovoice possa sostenere possibilità espressive e dialogiche?
Una delle potenzialità insite in questa metodologia risiede proprio nella sua estrema flessibilità (Latz e Mulvihille, 2017), che consente di adattare le fasi di lavoro in base al gruppo e al contesto di riferimento; tuttavia alcune attenzioni progettuali appaiono cruciali affinché i bambini possano partecipare significativamente alla documentazione delle loro esperienze di vita.
Innanzitutto si suggerisce di favorire un avvicinamento graduale di bambine e bambini allo strumento fotografico, attraverso la promozione di esperienze in cui possano comprenderne il funzionamento di base: in tal senso possono essere guidati nella scoperta e nella comprensione di alcuni aspetti tecnici relativi alla produzione di fotografie, con macchine fotografiche di semplice utilizzo ma che al contempo possano garantire una buona qualità dell’immagine (per esempio le fotocamere digitali compatte). Alcuni progetti hanno scelto di utilizzare macchine fotografiche “usa e getta”, ma il costo di sviluppo del rullino e la possibilità che alcune fotografie non siano visibili una volta sviluppate, può rappresentare un potenziale ostacolo; in più, da un punto di vista simbolico, utilizzare uno strumento di comunicazione disposable (monouso) potrebbe suggerire che la prospettiva dei bambini lo sia analogamente. In questa fase educativa bambine e bambini potranno avviare produzioni fotografiche a partire da domande stimolo aperte, affinché possano sperimentarsi nelle vesti di documentatori competenti, ma ancora alle prime armi con la macchina fotografica. Alcune proposte-stimolo per avviare gli scatti potrebbero essere: “Fotografa qualcosa del tuo colore preferito; fotografa qualcosa di naturale; fotografa un dettaglio che nessun’altra persona noterà” ecc.
Sarà poi auspicabile lavorare sulla visual litercy, ovvero l’insieme delle competenze grazie alle quali un soggetto è capace di comprendere e analizzare le componenti culturali, estetiche e simboliche coinvolte nella produzione e nell’utilizzo di materiali visivi. L’alfabetizzazione visuale è al centro del processo di photovoice e permette di considerare gli elementi visuali ed estetici dell’immagine, come anche le scelte personali compiute dal documentatore; per promuovere tale competenza i bambini potranno essere gradualmente avvicinati all’analisi e alla discussione di fotografie, guidati dalla formulazione di alcune domande, come per esempio: “Che cosa vedi?”, o attraverso la promozione di semplici esperienze (si condivide un’immagine con il gruppo e ciascun bambino aggiunge una parola nuova per descrivere l’immagine). Anche le esperienze di dialogo e di narrazione basate sull’osservazione del materiale fotografico rivestono un ruolo essenziale: queste generano discussioni in piccolo o grande gruppo, consentendo una riflessione corale sulle immagini, come anche su sentimenti, emozioni e significati che ciascuno attribuisce allo scatto, favorendo un accesso privilegiato ai mondi interiori di ciascuno.
Infine si può decidere di accompagnare l’immagine con la scrittura di didascalie: queste possono aggiungere ulteriori significati all’immagine prodotta; le didascalie possono essere scritte dal bambino in prima persona o altrimenti dettate e scritte da un adulto di riferimento, con parole che potranno ampliare, rivelare, elaborare, contestualizzare e personalizzare le immagini; a tal proposito esistono diverse tecniche che favoriscono la scrittura di didascalie, che possono variare ed essere adattate in base all’età dei partecipanti. Una tecnica semplice e immediata è rappresentata dall’associazione di parole: “Scrivi (o detta) una lista di parole o idee che ti saltano in mente, anche se apparentemente non in relazione con lo scatto”.
Quelli descritti rappresentano solo alcuni tra i possibili spunti di riflessione progettuali su photovoice, che puntano a sostenere e orientare educatori ed educatrici interessati a sperimentare le opportunità offerte da questo strumento innovativo: l’intento è di offrire possibili declinazioni pratiche e alcune suggestioni operative della metodologia documentativa, potenzialmente modulabile sulla base delle esigenze specifiche di ciascun contesto educativo.
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